Nel film “Maria”, biopic sulla grande soprano Maria Callas, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, Angelina Jolie interpreta il suo primo ruolo da protagonista dopo tre anni, diretta da Pablo Larrain, regista specializzato in film biografici di donne celebri. Con “Jackie”, Larrain ha raccontato la storia di Jacqueline Kennedy nel periodo successivo all’assassinio del marito. Con “Spencer” ha ricordato la principessa Diana mentre trascorre un ultimo triste weekend con suo marito, allora principe Carlo, e la sua famiglia. Il regista cerca con i suoi film biografici di raggiungere la vera personalità delle sue eroine. Nel film sulla Callas si apprende in un flashback in bianco e nero, che la giovanissima Maria, durante la Seconda Guerra Mondiale, veniva fatta prostituire con sua sorella da sua madre, con i tedeschi. Un trauma le cui ferite sanguineranno per tutta la vita. Si aggiunge a questo, il dramma della fine della relazione di Maria Callas con Aristotele Onassis (Haluk Bilginer), che sposerà Jackie Kennedy. Angelina Jolie mostra la sofferenza di una Callas ferita dalla vita, che negli ultimi giorni della sua vita vive nei ricordi e non riesce più a cantare, un’interpretazione intensa che tuttavia non convince del tutto: la bellezza dell’attrice offusca la sua bravura. Molto centrati invece i personaggi dei domestici interpretati dai bravissimi Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, un maggiordomo e una cuoca premurosi, che si occupano della diva ormai malata, con amore e preoccupazione.
I costumi del film di Massimo Cantini Parrini sono davvero belli. Nei primi anni della sua carriera, Maria Callas era una donna imponente che pesava cento chili per 1,73 di altezza. La Divina vestiva con creazioni sartoriali adattate alla sua figura. Fu una sarta milanese di nome Biki a trasformare quella “donnona” in una silfide, vestita con giacche avvitate e gonne a matita, immancabile filo di perle al collo e rossetto rosso. A teatro, falpalà celesti e rosa per Rosina del Barbiere di Siviglia, un mantello di volpe la rende Anna Bolena diretta da Gavazzeni, una tunica di seta bianca e un velo di chiffon fra i capelli ed è La vestale di Spontini. Lapin bianco con strascico di code di ermellino per Fedora, abito dipinto a mano da Salvatore Fiume le conferisce la rabbia di Medea, kimono in seta per Madama Butterfly, raso rosso e una parure di rubini e perle disegnata da Lila De Nobili e realizzata da Swarovski per la Traviata. Luchino Visconti sistema le camelie sul palco, le aggiusta nei suoi capelli dietro le quinte de La Scala, mentre Elvira Bouyeure Leonardi, nipote di Puccini, la tramuta nell’immagine vivente del culto del New Look professato da Christian Dior. E’ il momento di pantaloni a sigaretta con camicia bianca e foulard in tulle legato al collo, guanti di giorno e di sera, tacchi bassi a virgola, occhiali da sole dalla montatura spessa e le lenti scure.
“Ho immaginato come si sarebbe vestita la Callas nei suoi ultimi giorni di vita” racconta il costumista italiano Massimo Cantini Parrini (due nomination all’Oscar consecutive, realizzando gli abiti del Pinocchio di Matteo Garrone e di Cyrano diretto da Joe Wright, a cui aggiungere i 5 David di Donatello vinti, l’EFA europeo), che ha utilizzato le mise della Callas. Il costumista ha fatto un grande lavoro di ricerca sulla documentazione legato al passato, studiando soprattutto le tante fotografie della Divina. Ma degli ultimi giorni le immagini della Callas si fanno più rare. Il costumista ha fatto riferimento a una foto dove lei indossa una pelliccia e si copre il viso da un paparazzo. Il grosso del lavoro è stato ricreare tutti gli abiti indossati durante i suoi concerti a teatro durante le opere liriche, ed anche tre famose copertine di dischi famosi, e una per un servizio che fece per la rivista Life. Da video e foto è stata ripercorsa la carriera della Divina dagli anni Quaranta e Settanta, da cui sono stati realizzati oltre 60 abiti per Angelina Jolie, più quelli per le comparse.
CHI ERA BIKI – Tra gli abiti più importanti quello per il concerto a Londra del 1973, in shantung di seta avorio, con mantello di chiffon blu notte, realizzato da Biki, sarta milanese che adorava anche se la Callas si vestiva nelle sartorie più importanti europee, da Dior a Balenciaga.
Biki, pseudonimo di Elvira Leonardi, coniugata Bouyeure (Milano, nata l’1 giugno 1906 e morta il 23 febbraio 1999), è stata una delle più celebri sarte italiane tra gli anni quaranta e i sessanta. Il suo atelier milanese, luogo d’incontro di molte personalità della cultura, tra le quali Maria Callas, della cui “trasformazione” Biki è stata la principale artefice. Il suo pseudonimo, consigliatole da Gabriele D’Annunzio, che è anche il marchio della sua casa di moda, deriva dal soprannome “Bicchi” (derivato da “birichina”) datole da Giacomo Puccini (la Leonardi era figlia di Fosca, che era figlia di primo letto di Elvira, poi compagna e moglie del celebre compositore). Sin dall’infanzia, all’inizio del Novecento, Elvira Leonardi “Bicchi” vive dunque in un ambiente raffinato, aristocratico, ricco, colto, tra musica, teatro, arte e un diffuso gusto naturale per l’eleganza, naturalmente anche nel vestire.
Diciottenne, frequenta il bel mondo, la Scala, i Visconti di Modrone, la famiglia Toscanini, Franca Florio, il sarto Lucien Lelong, il fotografo Horst P. Horst, Isadora Duncan. Nella necessità di lavorare, da sempre appassionata di abiti, alla fine del 1933 incontra ad un pranzo Vera Borea, che ha un piccolo atelier a Parigi, e propone a lei e Gina Cicogna di occuparsi delle sue collezioni sportive e balneari per l’Italia. Il progetto non va in porto, ma le due decidono comunque di aprire in società un atelier di biancheria intima d’imitazione francese, particolarmente richiesto ora che, per volontà del regime fascista, che imponeva l’autarchia, le importazioni dalla Francia, e lo stesso impiego di teline francesi, non dovevano superare il 50% del vendibile. Il loro marchio, “Domina”, è inventato da Gabriele D’Annunzio, che è presente anche alla sfilata d’esordio nella primavera del 1934, nell’atelier di via del Senato nº 8. D’Annunzio fa incetta di biancheria per l’amante di turno, la pianista Luisa Baccara, ma, indebitatissimo, non può pagare altrimenti che con una fiorita lettera di complimenti. Sciolta l’associazione con la Cicogna, Biki si mette in proprio, lasciando da parte la biancheria e cominciando a ideare modelli di lusso (abiti di gala e da gran sera) e tailleurs. La prima sfilata è del 5 maggio 1936 (stesso giorno della proclamazione dell’impero da parte di Benito Mussolini). La sua casa, per tutti gli anni cinquanta e sessanta, è frequentata da tutte le maggiori personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della finanza; diventa, per eccellenza, la sarta delle grandi signore milanesi. Nel 1936 sposa il collezionista d’arte e antiquario Robert Bouyeure (avranno una figlia, Roberta).
Nel dopoguerra, Biki si associa al Centro italiano della moda di Marinotti della Snia Viscosa, fruendo dell’organizzazione delle sfilate coordinate dall’uomo che sosteneva presso le case di moda l’uso delle nuove fibre sintetiche e artificiali.
Conosce Maria Callas nel 1951 in casa di Wally Toscanini. Più tardi la stessa Biki, curiosamente, ricorderà come la futura primadonna (e sua maggior “testimonial”) la colpisse proprio per la sciatteria del suo abbigliamento. In questo suo “decennio d’oro” è affiancata dal genero Alain Reynaud (già allievo di Jacques Fath), che firma collezioni proprie dal 1957. Caratteristici del suo stile sono gli accostamenti di colori, la ricchezza e un generale rifarsi alla foggia del Cinquecento.
Più in generale, Biki può essere considerata con Germana Marucelli e Jole Veneziani, una delle pioniere del made in Italy, specialmente a partire dagli anni sessanta. Ma è anche una delle primissime sarte ad allearsi con l’alta moda: tra il 1960 e il 1966 collabora con il Gruppo Finanziario Tessile creando la linea Cori-Biki. Alla morte della madre, risposatasi a suo tempo con Mario Crespi, il maggiore dei tre fratelli che hanno la totale proprietà del Corriere della Sera, eredita una fetta consistente di quell’impero editoriale, ma continua a lavorare alacremente. È ormai stabilita definitivamente in via s. Andrea, prima in un atelier vicino a via Montenapoleone, poi in un altro quasi all’angolo di via della Spiga. Qui resterà fino alla morte.
Nell’ultima fase della sua carriera, in un clima culturale molto mutato, lancia una moda molto più sobria; fanno una certa sensazione suoi abiti da sera confezionati in tweed, una novità assoluta. Nel corso degli anni, oltre a mantenere una propria sceltissima, affezionata clientela, è stata attiva anche come giornalista e consulente di ditte di confezioni. Negli ultimi anni novanta collaborava con lei la figlia Roberta. Nel 1999, con la morte della fondatrice, la maison è stata chiusa.
Biki riposa con la famiglia al Cimitero Monumentale di Milano, nella tomba 192 del Riparto VI. Dal 2015 il suo nome, assieme a quello di molte altre illustri personalità, è iscritto nel Famedio cittadino, nello stesso cimitero.
A Milano le è stato intitolato il Passaggio Biki, raccordo pedonale tra le vie Tortona e Ventimiglia vicino alla Stazione di Porta Genova. La documentazione relativa alla vita e all’attività creativa di Biki, di proprietà della famiglia Reynaud, è depositata temporaneamente presso le Civiche raccolte storiche del Comune di Milano, nel fondo archivistico Leonardi Bouyeure Elvira.
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