Soprattutto nella moda il futuro nasce quasi sempre da una rilettura del passato. Come dimostra la collezione Dior Haute couture primavera-estate 2025, disegnata da Maria Grazia Chiuri, che sfila a Parigi in una sala del Museo Rodin, tappezzato sulle pareti per l’occasione, su incarico della direttrice creativa, da nove dipinti dell’artista Rithika Merchant. Una giardino incantato popolato da tante Alici nel paese delle meraviglie, che ha fatto da sfondo al fashion show a cui hanno assistito personaggi del calibro di Jisoo delle Blackpink, Jenna Ortega, Nicola Coughlan, Anya Taylor-Joy, Carla Bruni, Deva Cassel e Pamela Anderson. Tradotte in pannelli tessili di grandi dimensioni, queste opere formano un paesaggio visivo immersivo che raduna storie di femminilità attraverso le generazioni.
La collezione si rivela dunque l’occasione per riattivare alcuni capisaldi della memoria vestimentaria, soprattutto quella creativa e scenografica dei secoli passati – e per sovvertire l’ordine del tempo. Per riportarci dentro quel tempo che non è passato e neppure futuro, ma moda. È in questo scarto temporale che Maria Grazia Chiuri si muove liberamente, come se gli specchi che popolano l’atelier della couture potessero essere quello specchio di Alice che permette di accedere a una realtà altra, dominata da continui spostamenti di senso. In cui si realizza quel sogno della moda che non deve rinunciare mai a essere stupefacente e sfacciato. Ma la Alice di Chiuri è molto sofisticata. “In questa collezione sono stata affascinata dalla linea a trapezio di Yves Saint Laurent perché si rifà ai vestiti da bambina, ma la silhouette è molto più costruita. Si abbina a degli elementi che non sono parte del mio linguaggio abituale che ho voluto rilavorare con un approccio completamente nuovo. Credo che l’infanzia vada riguardata perché è una parte molto formativa per la nostra esistenza” ha spiegato la stilista. Ecco quindi che tra i capi più emblematici c’è la culotte di tulle e pizzo.
La direttrice artistica prende ispirazione soprattutto dalla linea Trapèze, concepita per Dior, nel 1958, da un giovane Yves Saint Laurent. La collezione allora diventa una sequenza di congiunzioni imprevedibili in un paese delle meraviglie dove il qui e l’ora giocano continuamente a nascondino. Come se quell’essere costantemente mutevole del tempo della moda trovasse a ogni movimento ricomposizioni momentanee e
meravigliose. Le culotte di tulle perimetrate dal pizzo sono memoria infantile di una donna bambina che può varcare molte soglie, tutte quelle che vuole, per cambiare a suo piacimento, per essere misura di sé stessa: smisurata o minuta. E poi ci sono i dettagli: gorgiere che flirtano con l’eccesso barocco.
Nel gioco di contrasti può essere donna-fiore nella cappa ricoperta di petali o nell’abito corto che esplode nelle volute corolle del busto e della gonna corta sostenuta dalla crinolina, oppure donna uccello, complice un copricapo la cui cresta punk spara verso il cielo.
Ma è proprio la crinolina, nella pratica versione dell’oggi, che si rivela uno straordinario volano di rimandi, duttile alle fantasie più sfrenate. Gabbia depotenziata che ostenta la sua struttura, da cui si allungano fili dalla consistenza di ramoscelli ricamati che ondeggiano a ogni movimento. O panier a cui basta ostentare la struttura per mettere in risalto bluse leggere e preziose di fiori ricamati. Bustini a vista e gonne torchon.
La linea Cigale – ideata da Monsieur Dior per la collezione Haute Couture Autunno-Inverno 1952-1953 – se è riproposta nel moiré delle origini, diventa una piccola gonna che indossata con la marsina aderente esalta il contrasto delle proporzioni.
Nella collezione la crinolina e il panier sono elementi centrali, e il viaggio nel tempo continua, per arrivare alla metà dell’1800. La loro funzione di sostegno invisibile viene ribaltata: la struttura è in primo piano. Attorno a questa idea nascono creazioni spettacolari, caratterizzati da ricami elaborati, e da applicazioni preziose. Sospese sulle ampie gonne fili e petali. Poi c’è la cappa coperta di piume che da vicino si rivelano fatte di organza. C’è anche la bellezza nell’austerità del nero della cappa e dei coat che permettono movimenti limitati. Mentre l’abito lungo risplende nel ricamo tridimensionale dell’argento brunito. In una poetica di quel nonsense, sospeso nel tempo sempre presente della moda.
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