Chanel ha sponsorizzato per il terzo anno consecutivo il Villa Medici Film Festival, presentando nel corso di un’elegante serata con cocktail il film-capolavoro di Wim Wenders, Paris Texas, già proposto in anteprima nel maggio scorso nella categoria Cannes Classics del Festival di Cannes, per celebrare il 40/o anniversario della Palma d’Oro, e di cui ha supportato il restauro, e il cortometraggio Allegorie Cittadine, diretto da Alice Rohrwacher e JR, finanziato anch’esso dalla maison.
Alla serata Chanel dedicata al cinema, erano presenti tutti gli uffici stampa della casa di moda francese e anche Corinne Clabaut Berrios amministratore delegato e direttore generale di Chanel in Italia, padrona di casa squisita e di grande classe.
Era fuori luogo chiederlo in quella occasione, ma se fosse stato possibile, la mia domanda sarebbe stata quella che tutti i giornalisti di settore si fanno da qualche mese: chi sarà il prossimo direttore creativo di Chanel?
Virginie Viard, che era naturalmente succeduta a Karl Lagerfeld dopo la sua morte nel 2019, ha annunciato la sua partenza a giugno, lasciando libera una poltrona molto desiderata. Le voci sul successore si moltiplicano. Inizialmente si è fatto il nome del ribelle Hedi Slimane, padre tunisino e madre italiana e un curriculum invidiabile con la direzione artistica della linea uomo Yves Saint Laurent per Rive Gauche (diventa anche il pupillo di Pierre Bergè, vicepresidente di YSL), passa al comando di Dior Homme e poi di Celine.
Ma in questi giorni, per Chanel, sempre più insistentemente si sente fare il nome di Simon Porte Jacquemus, titolare dell’omonimo marchio fondato nel 2010. Chissà.
E’ invece ancora libero Pierpaolo Piccioli, dopo la sua uscita a marzo dalla Valentino. Mentre alla direzione creativa della maison romana è stato nominato Alessandro Michele. Il 29 settembre la sua sfilata a Parigi è una delle più attese. Quest’anno a marzo anche Dries Van Noten, il couturier di Anversa, si è presentato per la sua ultima sfilata alla guida della sua omonima casa di moda.
Da pochi giorni da Givenchy, dove a gennaio era andato via Matthew Williams, è arrivata Sarah Burton, trasferitasi dalla Alexander McQueen, che ha guidato per 13 anni, dopo la morte del suo fondatore.
Da Blumarine è stato nominato alla direzione creativa il georgiano David Koma, mentre da Tom Ford è arrivato Haider Ackermann. Clare Waight Keller, ex Chloé e poi Givenchy, ha appena assunto la direzione artistica del gigante giapponese Uniqlo.
Zara ha annunciato all’inizio di ottobre una capsule collection disegnata da Stefano Pilati, ex direttore artistico di Saint Laurent e poi di Zegna. Ma forse è solo una collaborazione una tantum. Si vocifera infine che John Galliano, il cui contratto con Maison Margiela sta per scadere e potrebbe passare di nuovo Dior per il bis o da Fendi. Bisognerà vedere se Renzo Rosso, patron del Gruppo OTB che detiene il marchio Margiela, lo mollerà facilmente.
Per quanto riguarda questi giri di valzer con gli stilisti, le considerazioni da fare sono diverse. Intanto, bisogna ricordare che i direttori creativi che cessano di lavorare con le grandi case di moda sono spesso soggetti a contratti di non concorrenza di uno o due anni, che impediscono loro di riprendere subito le redini di un’altra casa di moda. Questi periodi sono compensati, ma nulla impedisce al nuovo datore di lavoro di coprire questo costo per abbreviare il tempo necessario a prendere il comando.
Ma va anche detto che i direttore creativi, nonostante i compensi stellari che ricevono dalle case di moda a certi livelli, fanno un lavoro davvero difficile, perchè devono studiare tutto il possibile sul marchio che vanno a ridisegnare, archivi e stile, rinnovando ma non troppo per non tradire la riconoscibilità del brand. E non sono completamente liberi di creare secondo la loro visione, ma devono fare i conti anche e soprattutto con le logiche e le esigenze del mercato globale, che come sappiamo spesso, sorprende anche gli analisti, serbando cambiamenti inaspettati di direzione e improvvisi crolli dovuti ad agenti esterni, come guerre e catastrofi ambientali. Oppure deviazioni e stravolgimenti causati all’imprevedibilità della massa, sempre più umorale, influenzata com’è dal web e dai social media.
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