Alessandro Michele, ero un bambino con la pochette di mamma

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Nel libro edito da HaperCollins, “La vita delle forme – filosofia del reincanto”, scritto dallo stilista Alessandro Michele e del filosofo italiano Emanuele Coccia, noto per la sua “metafisica vegetale”, docente di Filosofia della religione all’École des hautes études en sciences sociales di Parigi, c’è un padre che porta suo figlio a giocare a calcio. Ma il piccolo scende in campo con la borsetta con le frange di jais di sua madre e non la molla.

Il bambino con la pochette del libro era Alessandro Michele, ex direttore creativo di Gucci che ha diretto per sette anni e dove ha lavorato per 20 anni, e da poco nominato direttore creativo della maison Valentino. Lo stilista è assieme a Coccia a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia, per presentare il libro a un folto pubblico romano e firmare le copie. Modera la scrittrice Teresa Ciabatti.

LA BORSETTA DI MAMMA. “Sono felice di essere qui nella mia città, Roma. Sono felice di vedere tante facce amiche tra di voi. Sono felice di aver scritto questo libro. Ma è ‘ difficile rispondere a chi mi chiede perchè ero attaccato a quella borsetta Bisognerebbe chiedere alla mia analista. Tu mi dici che il libro è autobiografico. Cerco di raccontare perchè ero attratto dagli oggetti in casa. Mia madre era bella e giovane e spendeva tutto in abiti e accessori. Papà diceva che io sarei potuto diventare il miglior centroavanti della nazionale. Ma io amavo quella borsetta luccicante che era il ponte per il sogno. E mio padre era il primo ad amarle. Era lui il primo ad essere strano. Io adoravo quella borsetta. Poi un mio  aMico mi chiese di prestargliela perchè doveva travestirsi da Liz Taylor per andare a una festa in discoteca. Non la rividi mai più. La perdette”.

IL PASSATO E Il PRESENTE DA VALENTINO. “Io non sono appassionato del passato. Le cose esistono, ci sono. Io anche sono fatto di materia e sono nel presente. Ma ho un’adorazione per gli oggetti che sono stati. Per me hanno un’anima. Ora sono da Valentino e amo stare a contatto con quegli oggetti del tempo andato. Il presente è fatto anche da cose del passato. Il futuro non esiste ancora, quindi perchè preoccuparsene?”.

LA MODA COME ARTE. “L’arte della moda è l’esercizio della trasformazione di se in qualcosa di diverso che gli altri possono vedere” interviene il filosofo Coccia. “Parliamo della moda che è un’arte particolare. E’ cominciato tutto nei primi del Novecento con un gruppo di artisti di avanguardia. L’abito è una specie con cui tu puoi manipolare la tua identità, di cavallo di Troia. L’arte di trasformare tutti e tutto. Per immaginare un nuovo abito bisogna immaginare una vita. Alessandro mi raccontava dettagli biografici dell’identità della persona per cui stava creando quell’abito. Alessandro inventa biografie quando crea. Racconta in maniera cinematografica”.

“La cosa più complicata – aggiunge lo stilista – è spiegare il perché della mia moda. Io lavoro con l’istinto. Lavoro sempre, 24 ore su 24. Perché è un passione. Nacque con il cinema. Da piccolo sognavo di fare il costumista cinematografico. Vedevo i film americani con mia madre. I personaggi femminili di quei film venivano delineati dai loro abiti. I loro abiti parlavano per loro. Quando i vestiti sono indossati parlano. E’ difficile staccarlo dalla persona. I vestiti sono un segno del nostro essere. Anche rifiutando di mettere quei vestiti parliamo di noi. I vestiti parlano a tutti”.

IL RIVOLUZIONARIO. “Gli abiti incrociati male sono rivoluzionari. Le persone vestono così perchè io ho scambiato dei codici. Cosa ci vado a fare a Los Angeles se devo mettere un banale soprabito e pantaloni? I vestiti parlano. A tutti. Sono un segnale parlante del nostro essere”. “Io ho detto sono storto e così ho liberato tutti. Ma anche io ho smesso un anno e mezzo fa d essere libero. Accettando un altro lavoro (Valentino), ho riacquistato la mia libertà. A voi era sembrato che fossi sparito, ma nel frattempo ho scritto un libro con Emanuele.

L’ANIMISMO, L’AMORE PER GLI OGGETTI. “E’ vero, da bambino mettevo peluche ovunque e a me restava uno spazio piccolo. Per me era invece uno spazio enorme. Ora ho ritrovato un peluche, un orsacchiotto celeste. Era di ma sorella poi è diventato mio. Io lo porto con me in viaggio e se torno a casa e non lo trovo sul letto, lo sdraio, lo coccolo e lo rimetto al suo posto. io credo che gli oggetti siano animati. Anche nella casa di Firenze avevo tantissimi oggetti e per  me uno spazio piccolo piccolo”. “Siamo in un mondo fisico. Io ho un corpo e anche i miei oggetti sono fatti di materia. Per cui io guardo l amia collezione di carlini di porcellana, i loro occhi, le loro forme, qualcuno li ha fatti, e ne sono proprio innamorato. Sono i miei altarini”.

“Siamo costretti a riconoscere un anima alle cose – dice Coccia – e questo è l’animismo. L’arte in occidente in fondo è un forma di animismo. Io abito vicino a Louvre che non è altro che un grande magazzino pieno di tele e statue impolverate. Invece la gente esce da li e dice: ‘Ho visto un Ruberns’. La moda fa un passo ulteriore. Con l’arte della moda è come se indossassi un quadro artistico. La moda fa si che questa opera possa diventare la nostra pelle intercambiabile”.

IL CONCETTO DEL GEMELLO. “Io sono un gemello”. “Alessandro ha trasformato tutti in gemelli. In fondo – spiega il filosofo Coccia – la moda è trasformare quel corpo, quella carne in altro. nella Genesi, Eva e Adamo mangiano la mela del peccato e poi si coprono provando vergogna, con le foglie di fico. Invece Dio li copre con dei mantelli di pelle di animali. Ecco perchè il cuoio viene assimilato al peccato. Gli stilisti sono strani alchimisti che fanno carni alternative. La forza della moda è questa: darvi una seconda pelle per due ore. farvi sentire gemelli con Liz Taylor. Gli stilisti regalano il sogno di diventare qualcun altro”.

 

 

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